Hortus Incomptus | Autunno
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Sirfidi, gatti, tlaspi

Oggi ho approfittato del sole per rassettare il giardino. C’erano foglie sparse da raccattare, piante freddolose da ricoverare (mi prendo per tempo e infatti lascio socchiusa la porta della serra, ché freddo ancora non fa), plantule di verbasco e digitale da rinvasare.

Ho dovuto anche rimediare – in parte – ai danni dei nostri tre nuovi micetti, con mamma al séguito, che notte e giorno si scatenano e producono in folli acrobazie sui miei preziosissimi vasi, spezzando e scalzando qualunque cosa. La catasta di legna è mezza crollata; i giovani verbaschi sono stati triturati ad artigliate come prezzemolo alla mezzaluna; non si contano i vasi rovesciati o rimasti orfani dei loro ospiti vegetali, che – lanciati in orbita – ora giacciono esanimi a terra, chissà dove; che dire poi delle aiuole che avevo diserbato a mano a fine estate: sembrano un campo di battaglia, tutto dossi e crateri.

Per fortuna ci sono, immerse nel verde tuttora smeraldino di quest’autunno che sembra estate, tantissime fioriture: crisantemi sopra ogni cosa, sgargianti e perfetti, e poi tutto un trapasso di fioriture tardive e incipienti (ultime gazanie, dalie, abelie, ipomee e la filigrana profumata di miele; prime viole, tlaspi, stellarie – maledette! –; c’è anche qualche sparuta rosa e giuseppina intenta a rifiorire; infine, un ramettino di Phlox subulata ha proprio sbagliato stagione e si produce in pochi timidi fiorellini bianchi, quasi a saggiare gli elementi…). Qua e là svolazzano sirfidi e api, mentre le turpissime cimici, che quest’anno ci hanno colonizzato come un’invasione aliena, s’infilano in ogni interstizio. Ho visto persino una coccinella, quasi un’epifania.

Dimentico qualcosa? Sì, il foliage, come usa dire da qualche anno, con parola inglese pronunciata alla francese (d’altronde da lì viene, anche se la forma feuillage, una volta entrata in inglese, si è ibridata coi derivati di folium). Da me i rossi più belli sono quelli delle ortensie e del pero corvino; non ho infatti sommacchi, quelli sono sui Colli intorno a casa mia, e la vite americana che ho in vaso si è già sfogliata.

micio

antigatti

legna

ipomea

dalia

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Fioriture novembrine

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Tlaspi o tlaspo, nome che indica anche altre crucifere, sia in italiano che in greco. Questo è il tlaspi d’inverno, piccolo arbusto spontaneo in certe zone d’Italia, su rupi assolate e sassose, ma coltivato da tempo immemore nei giardini della nonna, in vaso, per esibirne la fioritura in pieno inverno. Fiorisce, infatti, tra novembre e aprile. Mi piace l’asimmetria dei petali, due dei quali si allungano a linguetta verso l’esterno. Botanicamente, il tlaspi d’inverno è un tipo d’iberide: Iberis semperflorens. Il genere comprende anche Iberis umbellata, che fiorisce in primavera-estate e si risemina da sé con facilità; Iberis gibraltarica, endemica nella zona evocata dal nome specifico; Iberis sempervirens, a volte confusa con la semperflorens: la prima forma un cuscinetto sempreverde che reca in primavera candide infiorescenze che le hanno guadagnato l’appellativo di “fior di neve”, la seconda si distingue, appunto, per l’andare a fiore in un periodo un po’ sguarnito e disadorno. Il tlaspi d’inverno predilige un sostrato calcareo e non teme la siccità. Si riproduce senza fallo (o quasi) per taleaggio. Non è esente da pecche: tende col tempo ad assumere un aspetto scarmigliato e sparuto, per cui conviene rinnovare le piante con regolarità.

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Fumaggini

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Dopo un virulento attacco di mosca bianca, ecco apparire una livrea maculata di fumaggini…

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Fior di carta (straw flower). In botanica: Helichrysum monstruosumXerochrysum bracteatum (o via sinonimeggiando)

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Mi piacciono i rami flessuosi della gaura: pendono lassi dal terrazzo e porgono al vento le farfalle bianche dei loro fiori tremuli.

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Un’ape ci volge le terga, ma è tanto bellina che la perdoniamo.

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Tra draghi e zanzare

Esco in giardino armato di macchinetta, a caccia di angoli fotogenici. La luce non è delle migliori: è una delle tante giornate spente di primo autunno. Vinco la ripulsa che mi assale all’idea di calpestare l’argilla intrisa d’acqua. Smuovendo le foglie suscito nugoli di zanzare assatanate. Mi pungono le nocche, le giunture, i padiglioni delle orecchie. Già ero accidioso d’umore, adesso ho una gran voglia di battere in ritirata. Poi vedo i miei fiori, come in trionfo, e ci ripenso.

Le bocche di leone e altre annuali si sono ridestate dall’inerzia stuporosa che ne aveva fiaccato lo sviluppo nelle torride settimane d’estate. Vegetano e prosperano vigorose come non mai. Solo nei margini più gremiti di piante, un po’ ombrosi e già troppo umidi, sono sfigurate dalla ruggine o incipriate di mal bianco. Fauci di drago multicolori (snapdragons) si spalancano in cerca di un sole che latita e accolgono le visite alate dei pronubi. Le cosmee nane, nell’orgoglio liberatorio di non esser sgraziate e precarie come le cugine, si producono in un frettoloso, esplosivo girotondo  di corolle. L’alisso bianco spande i suoi densi sentori di miele.

Ma queste sono solo comprimarie. Le vere protagoniste dell’autunno sono le perenni piantate ad hoc per un ultimo atto spettacolare prima dei geli. Settembrini, anemoni, crisantemi. Ne ho molti e ancora più ne vorrei (ne vorrò).

E poi ci sono piante un po’ confuse, che han come perso la trebisonda, e approfittano del tepore di questo scorcio ottobrino per anticipare la primavera: soprattutto i papaveri della California, ormai ubiquamente infestanti in tutto il lato sud del giardino; allungano incerti i piccoli turbanti di seta delle loro corolle monocrome color zucca, e non li svolgono se non quando il sole si affaccia a concedersi.

Faccio un giretto di perlustrazione – in testa la lista delle incombenze si aggiorna e allunga – e scatto qualche foto con scarsa convinzione. Torno dentro, insoddisfatto; la luce è infelice, gli scatti sono poca cosa. Mi duole dappertutto per le pose da contorsionista che ho tenuto nella vana speranza che l’aggeggio digitale mettesse a fuoco quel che volevo io.

Pubblico lo stesso qualche immagine, anche a mo’ di cronistoria di quest’autunno mite dalle piogge misurate.

anemoni Honorine Jobert

coccinella

cosmea_bocciolo

mix due

mix tre

nuvola di settembrini

settembrini

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Autunno: tempo di settembrini e anemoni giapponesi

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L’anno volge al termine. Il gelo si appropinqua, inesorabile, ma è lontano ancora. Circola in giardino un’atmosfera di allegria caduca. Non c’è l’ebbrezza frenetica della prima estate, preludio di pienezza; si vive una stagione più sobria, come una primavera in sordina. Ci si prepara alla desolazione delle brume. Allietano questo trapasso intriso di malinconia i settembrini col loro ampio spettro rosa, viola, magenta. Risorgono dai cartocci di foglie stremate dal caldo anche le anemoni. Qua e là sbucano da anfratti e cantoni gli squilli di tromba degli zafferanastri. È un variopinto addio alla luce estiva, struggente e inconsolabile come tutti gli addii, ma anche pacato, come cosa che angustia ma si è pronti ad accettare perché ineluttabile. Ecco che mi guardo attorno e con dentro un sorriso olimpico mi crogiolo in quest’ambigua gioia mesta.

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Astri protagonisti

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Un’estate impietosa con punte oltre i quaranta gradi, che ha rinsecchito e bruciacchiato le foglie delle alberature stradali, mi ha costretto a lavori forzati in giardino e a questo lungo silenzio, che mi piace ora rompere con un post sugli astri annuali. Ne ho di bianchi, porpora, carminio, fucsia, rosati. Il mio preferito è quello della foto qui sopra, carnicino e madreperlaceo: una delizia.

Le poche piantine di cui dispongo le ho seminate in marzo, aprile e maggio, a più riprese, in modo da averne in fiore lungo tutta la stagione. Ce n’è un tipo a margherita, che con la sua compostezza da fiorellino mansueto mi pare circonfuso del pudore virginale di un’educanda; e ce n’è un tipo più sofisticato e pretenzioso, dai bei petali cicciuti a mo’ di dalia o peonia, che ho ritratto negli scatti di quest’articolo.

Gli astri sono – giusta l’etimo – vere stelle in giardino. Lo illuminano soprattutto nel trapasso da estate ad autunno. Se ne fanno mazzetti dal sapore rustico, in stile donzelletta che vien dalla campagna. Mi ricordano tanto la nonna, che un tempo regnava s’un ampio orto-giardino in cui le verdure avevano la meglio (l’ovvio pragmatismo di chi ha sofferto la miseria) ma erano inframmezzate da fiori, soprattutto da taglio, per farne mazzi da portare in cimitero. Ricordo i gigli di Sant’Antonio, le calendole selvatiche, i garofani dei poeti, le calle con le loro spate candide, le verbene, i “becchi” (nome locale del tagete).

Non sono difficili da ottenere partendo da seme, gli astri. Conviene scaglionare le semine, da marzo a maggio, per averne sempre, e poi trapiantare al sole o a mezz’ombra. E se si teme il tremendo Fusarium oxysporum callistephi, tra le poche malattie degli astri, conviene comprare semente garantita e piantarli in vaso con terriccio che non contenga terra (in Italia, qualsiasi terriccio commerciale non ne conterrà, essendo a base di torbe o – nella migliore delle ipotesi – fibra di cocco; all’Estero, le composte John Innes ne contengono, ma sono sterilizzate, per cui il risultato è garantito comunque).

Un’ultima osservazione. Li ho chiamati astri, con l’eventuale appendice di “annuali”, mentre tassonomicamente sono Callistephus sinensis (donde l’altra denominazione volgare “astro cinese”, o “astro da China” in qualche vecchio catalogo…); l’aggiunta di “annuale” o “cinese” non è esornativa, ma serve a distinguerli dagli astri perenni, non foss’altro che quest’ultimi adesso non si chiamano più Aster ma Symphyotrichum, salvo alcuni. Un bel guazzabuglio!

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Addio prima del freddo

Potrei continuare con suggestive riprese di ragnatele grondanti goccioline d’umidità o foto poetiche coi ricami della galaverna. Invece, fino a primavera 2017 non pubblicherò proprio niente. L’inverno incombe con tutta la sua tetraggine. Fino a novembre ci sarà tempo per ricoverare le piante freddolose (ne ho poche), ma già so che non farò grandi lavori: ritirerò i due enormi vasi con le dalie rosa e la schefflera ereditata. Lascerò invece i gladioli in terra, perché oltre a non avere l’energia per espiantarli, qui il terreno è già zuppo e andare a pestare il giardino non è il massimo. La mia voglia di stare fuori diminuisce con lo scemare delle ore di luce (abito in collina e il fenomeno è più accentuato: anche in giornate soleggiate il sole si vede solo dalle undici alle tredici, in pieno inverno, per il resto è coperto nella sua bassa parabola dalla collina prospiciente). Riprenderò con rinnovato vigore a febbraio 2017.

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Cosmos: ormai una specie di intrico indisciplinato.

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Dalia. Purtroppo, è una delle poche foto decenti che posso pubblicare. Anzi, una delle poche infiorescenze decenti. Temo che le mie dalie abbiano sofferto per tutta la stagione di un fenomeno detto fasciazione: i petali erano piccoli o malformati, a volte verdini anziché rosa. Non ne so bene la ragione, forse i soliti ragnetti che qui sono molto aggressivi e prolifici.

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Rosa: siamo al quarto (e ultimo) giro di rifiorenza.

Farfalla mal fotografata…

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Crisantemi. Non vado pazzo per questi specifici crisantemi (ereditati), ma devo ammettere che sono tra le poche fioriture di ottobre/novembre. Arrivederci al 2017.

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Colori d’autunno

Il tempo per curare il giardino diminuisce, così come la voglia, dato che il clima è uggioso e le ore di luce stanno calando. I settembrini (ottobrini?) continuano a rallegrare la vista, ma si percepisce che tutto si sta spegnendo e preparando a dormire.

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Ci si può illudere che sia una seconda primavera…

…ma certi segnali sono inequivocabili!

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Solito caos vegetale. A volte mi viene lo sconforto perché in piena fioritura la giungla ha un che di affascinante, ma quando è così sembra solo un giardino lasciato a sé stesso…

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Anemoni giapponesi.

Quando si dice che sono incontenibili…

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Composita nata da sé, tipo camomilla. Purtroppo alcune erbacce mi piacciono, ma da brave erbacce hanno il “difetto” di diffondersi a ritmo impressionante, e ora me le ritrovo ovunque.

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Settembrini. Questi li avevo divisi in primavera da quelli di casa della mamma (che a sua volta avevo piantato io, più di vent’anni fa!).

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Unico cosmos di tinta più cupa, gli altri sono usciti tutti rosa chiaro (i semi erano del Lidl…).

Vangando un piccolo tratto dove ho trapiantato dei giaggioli, devo aver smosso dei bulbi di sternbergia: stanno fiorendo solo ora, in ritardo…

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