Hortus Incomptus | papaveri
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Sprazzi di sole

Qualche sprazzo di sole di tanto in tanto si apre e illumina una distesa di fiori presi d’assedio da bombi, api, sirfidi. Non sempre riesco a ripescare per tempo la macchinetta, sicché le foto spesso hanno luce fredda, da cielo velato o coperto. Le temperature restanto basse e il terreno è zuppo. Il giardiniere si dedica solo ai vasi e si rinfranca per le fatiche future…

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The little bit (two inches wide)…

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… of ivory on which I work with so fine a brush, as produces little effect after much labour. Non intendo nemmeno lontanamente paragonarmi alla geniale e malefica romanziera d’Albione, creatrice di partite a scacchi orchestrate come eleganti quadrighe, di lavori di bulino e cesello da labor limae maniacale. Né posso dire di aver profuso fatiche improbe nel mio pezzettino di verde. Insomma: mi veniva in mente quella frase per l’idea del “piccolo ma prezioso” che evoca. Le analogie finiscono lì.

Sono piuttosto orgoglioso dell’effetto globale del mio quadratino di verde, questa primavera. Soprattutto perché è il frutto felice del caso: non l’ho progettato a tavolino, anche perché le mie capacità progettuali sono scarse e sostenute da mezzi scarsi.

I protagonisti di questa sinfonia colorata sono heuchere, garofanini dei poeti, fiordalisi, violacciocche, papaveri della California, papaveri dei campi, acetoselle (Oxalis articulata). In una delle foto si nota anche una teoria di soffioni al vento, quel che rimane di un gruppo foltissimo di tarassachi. Sono così contento di non averli estirpati, come qualcuno mi suggeriva. Ho avuto il tempo di mangiarne, di goderne il giallo sfavillante, di osservarne con languore i soffioni che si spogliano a ogni bava – simbolo magari trito ma sempre struggente della fugace transienza di ogni cosa. Nothing gold can stay. 

Come si è creata questa confusione fiorita? Qualche aiuola, formale, l’ho piantumata tra fine estate e inizio autunno della stagione scorsa (quella poligonale dei garofanini e quella rettangolare delle violacciocche); altre, informali, si sono create da sé con quel che rimaneva di un prato fiorito misto che avevo seminato e visto fiorire per due-tre settimane. Le piante più caparbie si sono riseminate da sé, anche se – a dirla tutta – le avevo un po’ aiutate senza molta convinzione con qualche lancio a spaglio qua e là. E poi ci sono anche le essenze portate dal vento.

Confesso che quando ho letto (e riletto) I giardini venuti dal vento, non ho creduto davvero possibile emulare la demiurga autrice di quel libro e di quei meravigliosi giardini: non credevo fosse agevole riconoscere piante nate da semi portati dal vento e salvarle dal diserbo o comunque permettere loro di espandersi e colonizzare. Invece devo dire che non è difficile. Specie ora che sono circondato da piccoli giardini, alcuni a livello più alto del nostro, sicché l’azione del vento è facilitata dalla gravità.

Tra i doni ricevuti, e accolti con trepidazione e riconoscenza, ci sono in giardino e nei vasi diverse margheritone (Leucanthemum maximum), alcune malvarose, e ancora nemofile, petunie, bocche di leone. Il segreto, per chi difetta – come me – di approfondite cognizioni botaniche, è avere un appezzamento in cui crescono poche, tipiche, erbacce: in questo modo è facile, per contrasto, riconoscere piante “diverse” e, nel dubbio, lasciarle crescere con la speranza che siano fiori. D’accordo, la contrapposizione erbacce versus fiori da giardino si può dare per superata, ma penso di aver chiarito che cosa intendo.

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Risveglio di primavera:
la natura fa da sé

C’è sempre troppo poco tempo per il giardino, e anche le forze deficitano. Per fortuna sembra che la natura di questi tempi sappia fare anche da sé, senza grandi interventi: sono lontane le arsure estive che rendono il mio terreno uno zoccolo granitico riarso percorso da crepe larghe due dita e che fanno dell’innaffiatura un onere imperativo ed esoso in termini di tempo ed energia. In questi giorni posso godermi i primi frutti del lavoro autunnale e dare solo qualche indirizzo alla natura, che trabocca di linfe vitali. Gli steli si sollevano, le gemme si gonfiano e aprono, le foglie sono di un verde brillante che sa di nuovo. Tutto parla solo di speranza e palingenesi.

Nelle foto qui sotto: le heuchere divise in ottobre allungano gli steli (anch’esse lascito dei precedenti inquilini, e anch’esse molto “giardino della nonna” o “delle vecchie signore”), le violacciocche di Nizza (adoro la tinta di questo particolare esemplare…), una pratolina, un altro narciso (con i petali merlettati da una neanide di Barbitistes vicetinus – And his dark secret love/Does thy life destroy…), uno dei moltissimi esemplari di papavero selvatico nati dalla mia improvvida idea di spargere un po’ di semi qua e là l’estate passata, una spartana seminiera con piantine di finocchi, un tulipano viola, il turbante arancio di un papavero della California (da quei pochi che avevo seminato qua e là l’anno scorso nel prato misto fiorito antistante la casa ne sono venute quest’anno decine e decine: spuntati in autunno, ora stanno per fiorire).

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