Hortus Incomptus | Carducciando un po’…
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Carducciando un po’…

Mentre lavoricchio in giardino mi sovvengono brani e frammenti. Stamane, chissà per quale associazione, mentre innaffiavo mi ronzava in testa il famigerato T’amo-pio-bove di ginnasiale memoria: forse la mattinata placida, coi cani irosi del vicino ridotti a più miti consigli dall’afa che stronca.

 

Nessun bove nel mio microcosmo, né gallina o mulo o porcellino. Solo fauna selvatica e financo selvaggia, benefica o molesta. Dopo aver acquato mi son messo un po’ a caccia di cavallette, novello Apollo parnópios. Sono ancora piccole, di almeno tre specie diverse, di cui solo due ho identificato; oltre a questo, le differenzia pure il colore, pur all’interno della stessa specie: per esempio, la classica cavalletta italica è ora verdognola ora marroncina, da piccola, un po’ come le mantidi (resto aperto a correzioni e bacchettamenti da parte di eventuali entomologi tra i miei molto meno che venticinque lettori). Le locuste hanno una fame atavica, funesta, proverbiale. Più in basso allego la foto di una foglia di malvone dopo il fiero pasto.

 

Catturarle non è facile. Occorre, più che velocità, tattica. Le si deve stringere tra le dita e la foglia o il fusto cui sono poggiate, in modo che non abbiano via di fuga. Finché son piccine è agevole, poi crescendo metton su cosce e polpacci temibili, e se le si stringe tra le mani si divincolano con veemenza facendo scattare a più non posso le zampe, che segano e tagliano la pelle come lame. Un’esperienza da non ritentare.

 

Una volta che le si ha tra le dita, è necessario portare a termine l’impresa. Le si fa scorrere senza premere per non fare frittate immonde. A quel punto le si posa sull’impiantito tenendole per un lembo col dito e giù di ciabatte per farne marmellata. A volte sono più ardito o collerico e allora le spremo tra le dita. Poi corro a lavarmi le mani: leggevo da qualche parte che possono veicolare la salmonellosi e anche chi le mangia (sic) lo fa previa cottura (ora sì che mi sento tranquillo).

 

Tornando al bove, mi è saltato l’uzzolo di fare il verso al Carducci; ne è venuta una poesiola grottesca. Eccola qui:

La locusta

Locusta, io t’odio; e ributtante un senso

Di ripulsa e schifo al cor m’infondi,

O che vorace come lupa scempio

Fai e qual tabe sulle piante incombi,

O che scattando ben per tempo

L’agil man dell’ortolano scampi:

Ei ti maledice e scaccia, ma tu con ampi

Balzi e accorti occhi ti salvi.

E col tuo defecar atro e turpe,

Col tuo mai sazio crapular di ganasce,

Lo fai della natura odioso, che non fu mai.

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7 Comments
  • Anna
    Rispondi

    Yuccckkkk….. (expression of disgust by your vegetarian friend!)

    giugno 25, 2017 at 2:53 pm
  • Giovanni
    Rispondi

    Proprio ieri ho scoperto che non si sa se erano locuste o cavallette quelle di cui si cibava Giovanni il Battista (ieri il mio onomastico, 24 giugno); si cibava anche di miele selvatico ma sembra – non lo sapevo – che tutt’e due fossero cibi “impuri” per la legge ebraica.

    giugno 25, 2017 at 7:20 pm
  • Giovanni
    Rispondi

    Grazie, Alberto. Posto direttamente nel gruppo FB, ora… Passi direttamente al gruppo FB o devi pensare se curare sia il sito che la pagina FB…

    giugno 27, 2017 at 6:27 pm
  • Martin Adan
    Rispondi

    J’aime bien, un peu noir. Ce passage m’a fait penser au bref recit “La Casa de Asterion”, de Jorge Luis Borges.

    “Nessun bove nel mio microcosmo, né gallina o mulo o porcellino. Solo fauna selvatica e financo selvaggia, benefica o molesta.”

    luglio 2, 2017 at 9:14 pm

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